giovedì 7 agosto 2014

Con la recessione e dopo la riforma del Senato, il primo Renzi ha già chiuso

La caduta del PIL italiano, il ritorno nella recessione è veramente una iattura. Lo scenario con un aumento del PIL allo 0,8% era più rasserenante. Era il contesto in cui erano state fatte le previsioni organizzative e politiche per i prossimi 8-12 mesi.

I tempi delle riforme restavano rapidi, almeno a parole. Prima il nuovo Senato, poi le misure di aggiustamento sulla pubblica amministrazione, poi i ritocchi al mercato del lavoro con qualche timida apertura alla modernità, poi qualche misura finanziaria non ancora svelata. A settembre, a riforma del Senato conclusa, con la vicenda delle province chiusa, il PIL sotto il 3%, le grandi linee della manovra finanziaria, due o tre nomi di sostituzione, Napolitano poteva dimettersi. Renzi avrebbe avuto uno o due anni davanti, qualche riconoscimento in Europa e forse in Occidente, e la possibilità di prendersi qualche libertà, fare qualche errore, distrarre la stampa o i partner con qualche mossa astuta.

Invece il PIL va giù, le riforme son lente e il Capo del governo si è già preso le sue piccole libertà. Egli si scontra con una palude nazionale assai densa, e la sua fretta diventa di pura facciata. Si dovrà di nuovo mettere mano a i conti pubblici, proprio mentre prudono le mani a spendere soldi che non si hanno, per salvare amministrazioni regionali e comunali spesso di sinistra, o per fare entrare nuovi impiegati al prezzo di ulteriori pensioni pagate con la fine del  "trattenimento in servizio".

L'Italia non va bene, John Kerry incoraggia Renzi alle riforme come se fosse un ultimo appello, ma la stampa occidentale e anglofona ha già espresso il lapidario giudizio negativo.

Napolitano poteva dimettersi, e non può più. Le riforme avrebbero potuto avanzare in modo più spedito, ma così non è andata. Le libertà che Renzi avrebbe potuto prendersi "dopo aver guadagnato la fiducia in Europa" sono state bruciate in anticipo, con la candidatura di Francesca Mogherini ad Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, perseverando con la lettera del primo agosto, ricca di forzature tipiche della politica toscana. La manovra d'autunno è tutta da costruire, mentre il ministro dell'Economia e il Commissario per il contenimento della spesa pensano (da tempo) di far le valigie. L'agenda delle riforme da aggiornare in gran fretta dinnanzi al volto minaccioso di sindacati, notai, avvocati, tassisti, gestori di impianti balneari e di benzinai, impiegati comunali ed ex-provinciali: sul lavoro, sul rilancio dell'attività economica (cioè sul rapporto tra spesa pubblica, imposizione fiscale, libertà di impresa e occupazione).

Anziché trovare il sostituto di Napolitano, bisognerà piuttosto immaginare un sostituto a Renzi. Forse Renzi stesso, ma capace di accettare Letta a Bruxelles, oppure Bonino rispetto a Mogherini. Forse Renzi stesso ma capace di dar priorità alla riduzione dell'IRAP e della pressione fiscale, alla netta riforma del modo di fare amministrazione, all'introduzione di più libertà, capaci di liberare al lavoro persone che oggi, a milioni, si trovano a scrivere e correggere delibere e decreti in ogni livello dell'amministrazione pubblica e parapubblica. Forse Renzi stesso, oppure un altro, o forse anche con un'altra maggioranza.

Forse Renzi stesso, ma con la mano guidata dall'esterno, come già ha anticipato Mario Draghi sull'incapacità (italiana e francese) di fare le riforme senza l'aiuto della troika. O forse con un nuovo Presidente della Repubblica che riprenda le redini del Paese mettendo il collare al presidente del Consiglio.

In ogni caso, con l'avvento della recessione e dopo la riforma del Senato, il primo Renzi ha già chiuso.