mercoledì 23 dicembre 2015

Il Principe cinquecentesco

(Gazzetta Matin, 21 dicembre 2015)

Il costo politico delle riforme costituzionali è stato alto, la maggioranza è indebolita in Parlamento, le comunali 2016 preoccupano, Renzi  reagisce ma ha cambiato registro. Da un lato ha rilanciato strumenti del consenso (finanziaria a debito, concessioni stile 80 euro) dall’altro ha rallentato sulle riforme, scaricando varie responsabilità sull’Europa, dalla crisi delle piccole banche ai migranti.
In questo clima, la pressione sulla Valle d’Aosta sembra diminuita. Come annunciato dall’accordo di luglio tra il presidente Rollandin e il ministro dell’economia Padoan, arrivano i primi 50 milioni di euro relativi all’accisa passata, e sono in vista altri segnali positivi.

Si tratta di una boccata di ossigeno non solo economica ma anche politica per il governo regionale e il suo presidente, che pure hanno di fronte varie matasse da sbrogliare, dal Casinò alla sentenza sui rifiuti, alla gestione speciale di Finaosta. Pur temporaneo, è un clima sufficiente a rafforzare il governo, a ridurre l’urgenza delle riforme, a ritardare l’ulteriore allargamento della maggioranza, a continuar a far nomine come in passato, per esempio nell’APS aostana. Facilita il ritorno al Principe Solitario, che dopo la finanziaria si sente più sicuro, com’è avvenuto nel caso dei nuovi 20 milioni di prestito al Casinò.

Eppure i problemi di fondo rimangono. La Valle rimane poco competitiva: la stessa Lavazza che lascia la Valle si prepara ad investire 100 milioni di euro in uno stabilimento a Torino. Il dibattito sulle infrastrutture è disturbato da cortine fumogene e teatrini, ma riguarda il tema economico dell’accessibilità e della mobilità interna. La macchina amministrativa continua a perdere colpi, dalla sanità all’agricoltura.


Almeno in questa settimana natalizia, dovremmo allora sperare in un principe illuminato, che guardi non soltanto al galleggiamento, ma al medio termine, sui trasporti, sulla fiscalità, sull’educazione, sulla semplificazione.  Dovremmo sperare in uno sforzo di lungimiranza, perché il mondo va avanti. La COP21 avrà effetti sulla Valle dei prossimi quindici anni, gli investimenti tecnologici cambieranno nuovamente il modo di produrre e consumare, la popolazione si sposterà ancora. 

Difficile però essere ottimisti, persino in questi giorni di festa: l’immagine dominante è quella del principe cinquecentesco circondato da pochi duchi in vociante ritardo, in attesa che arrivi lo spagnuolo. 

Enrico Martial

mercoledì 9 dicembre 2015

Il Bilancio del Bilancio

(Gazzetta Matin, 7 dicembre 2015)

La legge finanziaria regionale è stata approvata dopo quattro giorni e un discreto fiume di parole, da cui bisogna districarsi per capire il nuovo 2016.

La legge è arrivata in Consiglio già fatta e finita: un po’ di debiti in più che corrispondono a investimenti su settori puntuali (ma senza vera programmazione), tagli al welfare, e un po’ di spese presidiate e intoccabili.  Presidente e Assessore alle Finanze hanno fatto un discorso simile: crisi ma continuità con il passato e speriamo per il 2018 di avere un po’ più di soldi. Il relatore della legge, Leonardo La Torre, ha parlato una lingua diversa: c’è grasso ancora da tagliare, bisogna guardare le cose in modo nuovo e ristrutturare. Erano voci discordanti, con clima sottostante d’insicurezza. La legge era forse blindata, ma anche debole. Con questa consapevolezza, e per portarla a casa in fretta e con minor danno, il presidente ha quindi aperto a qualche emendamento e alla concessione di promesse future.

Su questa finestra è nata una prima pista politica. E’ stata tracciata sia dall’opposizione sia da pezzi della maggioranza che parevano risorti, con alcune mozioni su semplificazione amministrativa, sviluppo economico interno (pur nella forma poetica della Zona franca ma anche su partecipate e agricoltura), su alcuni cuscinetti sul welfare. Sono mozioni d’indirizzo per loro natura tutte da realizzare, con passaggi in Commissione e verifiche, ma sono anche segnali di cambiamento, pur settoriali. Perché su altri punti, come sanità e ferrovia invece c’è stato un muro, che figura adesso come punto di debolezza dei due assessori in trincea. In breve: legge blindata ma politicamente debole, che ha richiesto una prima apertura politica alla stessa maggioranza e alle opposizioni.

Raccolto il risultato, il Presidente potrebbe ora tornare a fare il capo solitario come sempre, e sarebbe la scelta più facile e scontata. Oppure siamo veramente in una fase di passaggio, per le tegole che volano e che prima o poi atterrano, dall’appalto Piro alla nuova contabilità e gestione speciale di Finaosta, al Casinò o a cose che ancora non sappiamo. Se l’agenda dovrà essere almeno in parte condivisa con il Consiglio Valle, allora si apriranno spazi politici nuovi. E se vi sarà la necessità urgente di riforme, questa riguarderà più i consiglieri che hanno capito rispetto agli incerti, ai resistenti e ai partiti, che seguiranno come fossero l’intendenza.

Enrico Martial

giovedì 3 dicembre 2015

Chiacchiere e distintivo



(Gazzetta Matin, 30 novembre 2015)
Ci prepariamo a discutere il bilancio regionale, e ci arriviamo preoccupati e doloranti. Alle spalle c’è una lunga serie di asili chiusi e Capodanni tagliati, ma anche di conferme ai più fortunati, dallo splendido negozietto valdostano a Parigi fino a Vallée d’Aoste Structures, che ha appena incamerato altri 27 immobili. In una lettera di risposta al suo predecessore, Fulvio Centoz, sindaco di Aosta, si è lasciato scappare che in Regione vi sono “sedicenti autonomisti”.

Sono parole che giungono proprio mentre la pressione sull’autonomia è forte e poco resistibile. La riforma dello Statuto speciale si è persa di vista, e ora naviga in sconosciute acque nazionali. Gli emendamenti del senatore Albert  Lanièce alla finanziaria statale su accise e bilancio in pareggio sono state rigettate dal governo nazionale con il dorso della mano.

Va anche peggio nelle faccende quotidiane. Il 17 novembre la Camera dei deputati ha approvato un disegno di legge su appalti e concessioni, che in un comma cancella l’attuale competenza regionale nella materia. Una ventina di anni fa, avremmo letto infuocati comunicati stampa: oggi nulla, silenzio assoluto. D’altra parte in un atto consiliare gli uffici hanno scritto che il francese è “lingua straniera” mentre Ferrovie, Anas e alcuni Comuni trascurano l’ortografia e quindi la toponomastica dei luoghi, senza che vi sia reazione. I “costi standard” sono applicati in modo automatico, malgrado decenni di studi (da Janin in qua) sulle specificità della Valle. Si tratta di un’abdicazione rassegnata di una classe politica indebolita, con una tendenza alla delegittimazione, come nel recente caso dei vitalizi per gli ex-consiglieri.  

Altrove è andata anche peggio e la gente si è da tempo staccata dalla politica. Da noi controllo sociale e partecipazione rimangono ancora alti, anche se la Valle par guidata da gattini ciechi. A volte sembrano riaprire gli occhi: superando le polemiche, il Consiglio regionale ha proposto al Comune di Aosta di far fronte comune sull’autonomia. Forse è la solita fuffa, prodotta da “sedicenti autonomisti”, tutti “chiacchiere e distintivo”, e non già un segnale di ripartenza. Eppure, dopo anni di declino, questo fronte comune potrebbe spingere i partiti a cercare consenso sulle proposte e non sugli interessi, potrebbe  imporre all’amministrazione di tornare a una funzione di servizio, e favorire un dibattito sulle priorità collettive, oggi nascoste sotto macerie di interessi settoriali e materiali.

Enrico Martial

martedì 10 novembre 2015

Tutto Cambia

(Gazzetta Matin, 9 novembre 2015)

D’un tratto il clima politico è cambiato, s’intravvede una prospettiva, forse già delineata ma ora più esplicita. Anziché battibeccarsi come al solito, maggioranza e opposizione hanno approvato insieme una serie di mozioni, scoperto linee condivise sull’autonomia, visione comune sull’edilizia e persino sui rapporti finanziari con lo Stato centrale.  Ancora dieci giorni fa, sarebbe stato disprezzo e gelide parole, ora son sorrisi.

D’altra parte l’allargamento al PD non basta più. E’ stato superato dalle restrizioni finanziarie, dalle pressioni su autonomia e Statuto, dalle frecce sempre più appuntite in Consiglio Valle, e soprattutto dalla minaccia posta dal TAR sul pirogassificatore. Una grana con alternative da brivido e non aggirabili neppure con idee bislacche e antieconomiche, giocata come a dadi in attesa del Consiglio di Stato.

Tuttavia, se il nuovo clima è costruito come sembra sulle alleanze tra partiti, la novità allora non c’è. Al massimo il cambiamento sarà limitato a qualche posizione di governo, a qualche formale riga di programma. Se non è ricerca di un nuovo percorso ma è un ravvicinamento tra sigle (UVP e UV) allora gli occhiali per capire presente e futuro resteranno gli stessi. Malgrado i nuovi toni, la continuità sarà nei fatti, il cambiamento soltanto nella forma. L’esempio più recente viene dall’allargamento della maggioranza al PD, osteggiando però l’unico tentativo renziano appena diventato sindaco di Aosta. Allo stesso modo, il bilancio in preparazione non cambia di un rigo neppure sugli sprechi parigini, e viene confermata la  chiusura della linea di Pré-Saint-Didier appena spente le luci del Consiglio Valle.

La visione sulle cose da fare, la distribuzione delle entrate e delle spese restano immutati non già perché il governo regionale e la Regione siano solidissimi: anzi con i vecchi occhiali a disposizione faticano a governare molti dossier, altri li lasciano in balia degli uffici, di un Ministro o di nessuno, dal treno all’organizzazione sanitaria. L’agenda sta passando dalla Valle all’esterno perché ancora non si è aggiornato il taccuino e condiviso un’altra agenda affidabile, capace di fissare in dieci punti in linea con il presente un percorso politico ed economico per i prossimi anni. E sarà meglio pensarci in fretta, perché è anche possibile che autonomia, bilancio e Consiglio di Stato s’incricchino tutti nello stesso tempo,  prima che faccia primavera.

Enrico Martial

martedì 3 novembre 2015

Ottimismo mezzo pieno

(Gazzetta Matin, 2 novembre 2015)

Da qualche parte si dovrebbe trovare una ragione di ottimismo. Il bilancio che passerà in Consiglio Valle continua con i tagli al welfare. Vi è la nota positiva degli investimenti in opere pubbliche, rivolte al patrimonio e a sostenere alcune imprese del settore, ma non a creare condizioni di sviluppo. Anzi, pare che saranno lavori fatti a debito, come la Grecia dei momenti migliori. Vi è il positivo annuncio della dismissione di una parte del patrimonio pubblico penosamente inutilizzato, di palazzi e di case, ma senza spiegare perché la Regione continui a pagare affitti per uffici vari e sparpagliati. Inoltre, in tempo di crisi non è detto che sia facile vendere palazzo Narbonne, che già la stessa Regione aveva rinunciato a ristrutturare perché oneroso e complicato. D’accordo, la gente va a spasso e i bar sono pieni, ma persino gli immigrati lasciano la Valle perché non presenta sufficienti opportunità.

Facciamoci coraggio, da qualche parte ci sarà un segnale positivo. Beh, forse il punto è che non siamo più debitori di denaro pubblico proveniente dall’esterno. Il nostro “residuo fiscale” diventa positivo, le imposte pagate sono superiori al denaro che resta in Valle, sia pur di poco. La compensazione dell’IVA da importazione è quasi finita, con i dieci decimi (10/10) il gettito del bilancio si fonda ormai sui soli beni prodotti e consumati in Valle d’Aosta. Lo Stato spende in Valle ancora una cinquantina di milioni in stipendi, e tra tutto forse 85-100 milioni: noi mandiamo a Roma 243 milioni per il riequilibrio delle finanze pubbliche, con saldo dunque positivo.  Magra consolazione si dirà, se mancano i soldi. C’è infatti il bicchiere mezzo vuoto, di chi ragiona con gli strumenti del passato, senza ricordare che “nulla sarà come prima”, proprio dopo averlo detto.

Tuttavia, la prospettiva è per noi cambiata: il gettito del bilancio regionale e il welfare dipendono oggi dalla qualità e solidità dell’economia valdostana, non è più l’economia che dipende dalla spesa regionale. Forse allora c’è anche un bicchiere mezzo pieno, e possiamo guardare avanti, dicendo che dobbiamo fidarci di noi stessi, di una tradizionale capacità di lavorare e di inventare, di fare iniziativa e lavoro, che serviranno per pagarci nei prossimi anni sia la sanità sia gli asili nido. Perché a sentire la vivacità di idee e commenti, a guardare le persone, la società profonda sarà di cattivo umore, ma resta solida e determinata, e offre ragioni di speranza.

Enrico Martial

mercoledì 28 ottobre 2015

Prudenza e Temperanza

(Gazzetta Matin, 26 ottobre 2015)


La sentenza del TAR sull’appalto dei pirogassificatore non ha  soltanto un valore giuridico, ma anche un impatto politico ed economico.

Anche senza commentarla, è facile notare l’ulteriore botta prodotta sulle finanze pubbliche regionali e con esse sull’economia valdostana, che dovrà ripagarla, se il ricorso al Consiglio di Stato non andasse a buon fine. Anche se s’impiegano le tariffe sui rifiuti, i valdostani ne pagheranno lo scotto. Le imprese avevano chiesto oltre venti milioni di euro  di risarcimento: una sovrattassa da 670 euro per una famiglia di quattro persone. Almeno fino a quando non verranno recuperati, l’aggravio costituirà un peso sul bilancio regionale, a cui già mancano 74 milioni per il 2016 senza che si riesca a trovarne adeguata copertura.

Vi è poi una dimensione politica. Pur nello stridore di una giurisprudenza che concede la decisione di costruire ma nega la competenza di modificare la decisione stessa, la sentenza del TAR va messa nel paniere delle grane che si stanno accumulando intorno al Presidente e al governo della Regione. Con il senno di poi, ci rammenta la sua proverbiale determinazione anche nell’assegnare l’appalto, ma anche la sua poca prudenza tecnica e la sua scarsa temperanza politica di fronte al clima referendario. Ora che mancano i soldi, che i 220 milioni appaiono nella loro sproporzione di fronte alle chiusure di servizi e asili, la sentenza induce a una valutazione politica anche sul metodo di governo, se produce danni siffatti. E se finisce per assegnare una ventina di milioni a imprese che ben si conoscono, nel cerchio magico di quelle che operano in Valle d’Aosta e dintorni.

Il ricorso al Consiglio di Stato poco cambia nella valutazione politica ed economica, perché il fatto ormai esiste in quanto tale, e si affianca da un lato a una probabile finanziaria priva di tagli e di riforme, da coprire solo in deficit, e dall’altro a forti pressioni sullo statuto di autonomia, di cui hanno avuto contezza i partecipanti al convegno sulle Speciali a Roma il 18 ottobre scorso. Una sommatoria di problemi che già travalicano il recente allargamento della maggioranza e che confermano che la bella stagione è davvero finita.

Il clima è questo: bisognerà mettersi in fretta su un nuovo registro, come è vero che tempeste s’annunciano anche sulle Regioni in generale, partire dal Piemonte, che con i suoi cinque miliardi di debiti scivola verso un possibile commissariamento.

Enrico Martial


mercoledì 14 ottobre 2015

Nervosismo


di Enrico Martial
(Gazzetta Matin, 12 ottobre 2015)

Usciamo da una settimana difficile, segnata da un marcato nervosismo. La formazione del bilancio per il 2016 è il cuore del problema: le uscite superano le entrate, mancano 74 milioni. L’approccio resta quello di sempre, con una serie di tagli, più o meno lineari, dai servizi a bambini e anziani alla sanità, dai Comuni ai lavori pubblici. Rispetto all’anno scorso, il clima è però cambiato, la reazione sociale è più intensa. Si aggiungono poi problemi nuovi e difficili da interpretare, comunque di ulteriore peggioramento del contesto economico e politico.

La domenica, il Congresso dell’Union ha chiesto una “Ré-union”, cioè una specie di governo di solidarietà valdostana per affrontare la crisi politico-economica.  Il mercoledì la proposta era naufragata in Consiglio Valle in una sonora bisticciata su otto risoluzioni dell’opposizione e nel nervosismo manifesto del Presidente. Negli stessi giorni la Confidi CTS valdostana è stata assorbita da quella piemontese, la trentennale Saison Culturelle è parsa in totale difficoltà (mentre i teatri a Torino funzionano). Dal Comune di Aosta si è scoperto che mancano i soldi per riparare gli automezzi, da viale Europa si è annunciata la chiusura dell’asilo nido.  Sui grandi temi non va meglio: il governo nazionale ha accettato una risoluzione sulla fusione delle Regioni, la prossima settimana si parla della riforma delle Speciali in un convegno a Roma, ma non nelle nostre Valli.

Dalle notizie e dal governo traspare freddezza sui consumatori culturali, ricorsi su chi porta in dote a Torino i prestiti della legge regionale per le imprese valdostane, sufficienza sulle riforme istituzionali romane, muso duro verso opposizioni sempre più arrabbiate. Nervosismo comprensibile, ma forse non utile.

Mentre alcuni fili scivolano di mano, altri problemi si preparano. Da un lato la manovra economica rischia iniquità e ulteriori reazioni, se oltre al welfare non si interviene anche sulle sacche di grasso della spesa corrente –dai 19 milioni di rosso del Casinò alle partecipate da riformare. Dall’altro il governo rischia la delegittimazione se non risponde in modo adeguato all’accelerazione dello smantellamento dell’autonomia, che si è intravisto con il 118, il trasloco torinese di Confidi CTS e la risoluzione sulla fusione delle Regioni.

E’ davvero un passaggio difficile. Ci vorrebbe con un grosso sospiro e una bella passeggiata, prima di fare errori questa volta importanti.

venerdì 9 ottobre 2015

Il braccio corto

(Gazzetta Matin, 5 ottobre 2015)
di Enrico Martial



Mentre brividi e sussulti scuotono la balena unionista, qualche progresso emerge dalla confusione politica. Si inizia a vedere un po’ di realismo, si è capito che tagli e mancanza di soldi stanno dettando l’agenda anche al Presidente. Fino a pochi giorni fa ancora sembrava possibile inventare nuove spese, come il reddito minimo; oggi si capisce quanto sia velleitario protestare contro i tagli agli asili nido senza una proposta complessiva alternativa. Le idee sono ora più chiare: occorre un disegno per i prossimi anni.

Su questo iniziano a riflettere partiti, esponenti politici e osservatori. A parte i richiami alla Catalogna e all’Europa, solo una proposta è finora emersa, e per voce di Bruno Milanesio. Già ispiratore del “Governo delle Grandi Opere”, nel suo ultimo intervento ha preso atto della fine di quella stagione per proporre una soluzione di “decrescita”, che comporta in sostanza la dismissione o la privatizzazione delle partecipate. E’ una prima risposta alle pressioni centrali, che già suggeriscono per voce del sottosegretario Pier Paolo Baretta la “statalizzazione” dei quattro Casinò, o la dismissione delle società che non rientrano tra le finalità istituzionali degli enti. Sarà probabilmente il caso della CVA e della DEVAL poiché la riforma costituzionale sposta allo Stato (e sottrae alla Regione) le competenze concorrenti in materia di produzione e distribuzione di energia.

E’ uno scenario di riduzione della presenza regionale nell’economia, di un braccio più corto, che si pone in continuità con il passato e anziché “ristrutturarsi” per il futuro. Le privatizzazioni potrebbero  seguire il modello di Telecom Italia, e la Valle ritornare ai tempi delle lobby a briglia sciolta sulla Regione, delle dighe ovunque, e forse anche ai  grigi tempi della debole governance regionale, dello scandalo Casinò fino all’esplosione della Cinquecento.

Non è un bel futuro, perché in questa proposta manca ancora un passaggio: cioè le riforme “che ci chiede l’Europa”. Occorre non soltanto ridurre, ma anche governare meglio e in modo più moderno, con una nuova visione della realtà regionale, che faciliti la concorrenza e l’apertura del mercato, e non la creazione di nuovi poteri bloccati. Anche se più difficile, occorre per esempio dare più fiato all’economia rimuovendo ostacoli e nicchie creati in questi anni, e ritornare al proprio mestiere sui dossier abbandonati  da tempo, come agricoltura e ferrovia.


Enrico Martial

martedì 29 settembre 2015

Tagli e riforme, ma la politica è assente

(Lo Spiffero, 28 settembre 2015)

Esiste uno scarto profondo tra la realtà e  la politica che si osserva in Piemonte e a Torino. Si pensa ancora alla Regione e ai Comuni ancora come semplici distributori di spesa, si ammucchiano proposte di legge regionale e mozioni per le favorire le aree montane, lo stipendio minimo, gli abbonamenti degli studenti. Si profila ancora la costituzione di commissioni regionali sull’endometriosi o  sul monitoraggio dei servizi pubblici, come se già non esistesse l’Agenzia per i servizi pubblici locali, come rileva Carlo Manacorda sullo Spiffero. Insomma, si continua come negli anni Novanta, o come se al governo regionale ci fosse ancora la Bresso.


Le forze politiche di maggioranza e opposizione procedono come se nulla fosse, come se un taccone o un intervento di Renzi potesse salvare la continuità con il passato. Eppure il Consiglio regionale già a settembre dovrà ingollare il boccone, votandolo, della certificazione del disavanzo 2013 a 5,2 miliardi di euro come già accertato dalla Corte dei Conti.









Mamma e Regione


(Gazzetta Matin, 28 settembre 2015)

I soldi sono finiti. Anche le mamme con i bimbi al nido lo han capito, dopo le imprese di costruzione, i professionisti, i forestali. Con la loro intensa e umana presenza in tribuna del Consiglio Valle hanno avuto il merito di segnare un chiaro passaggio politico, perché i tagli sono davvero arrivati nel profondo della nostra vita quotidiana. 

Tuttavia, se è vero che nulla sarà come prima, neppure non si sa come sarà dopo. In Regione si continua a pensare alla vecchia maniera. Il perimetro della spesa si è ridotto, ma maggioranza e opposizione sono sempre concentrate su come distribuire le risorse, seguendo addirittura la moda del reddito minimo. Si fa qualcosa in meno con meno soldi, si accorcia il braccio, si cerca di tener buoni tutti. Eppure il temporale, la tempête au dessus de nos montagnes rumoreggia sempre più forte. Sembrava che l’accordo del 2010 costituisse già il fondo della pentola: fine dei milioni sostitutivi dell’IVA da importazione, contributo di solidarietà alla crisi finanziaria statale, minimo effetto dell’aumento ai 10/10 delle imposte. 

Il fondo è invece ancora più in basso. Il 21 luglio un accordo tra il ministro del Tesoro Giancarlo Padoan e il nostro Presidente chiudeva i conti del passato mentre annunciava nuovi tagli: tra fine luglio e oggi si è capito che mancano 70 milioni. Altri tuoni si annunciano, per esempio sulla revisione dello Statuto e sulle competenze regionali, appena passata la riforma Boschi dopo il 15 ottobre. Seguirà la discussione sul ruolo delle partecipate come la nostra CVA, una specie di ENI che trivella fuori Valle, e il cui bilancio è maggiore della Regione stessa. E’ faccenda serissima: su iniziativa del Commissario alla spending review Yoram Gutgled, su pressione della finanziaria nazionale sottoposta il 30 novembre al severo giudizio dalla Commissione europea e seguendo i paterni suggerimenti dell’Eurogruppo all’Italia. Un’armata sufficiente per portare altri colpi decisivi, anche nella piccola Valle d’Aosta.

Nelle facce in tribuna e nell’aula del Consiglio regionale domina però l’incertezza sul domani. Ma allora, se nulla sarà come prima, forse non basta tagliare. Bisogna forse cambiare concetti e strumenti, il modo di guardare le cose. Bisogna sin da ora riconoscere la realtà e immaginare un accettabile futuro oltre le rovine.  Diverso da quello di ieri, ma sostenibile, e per il quale occorre nuova politica e nuova visione.

Enrico Martial

venerdì 11 settembre 2015

Non rifiutare le politiche dei rifiuti


(Lo Spiffero, 10 settembre 2015)


Fa bene Chiamparino ad affermare che non è necessario un secondo inceneritore per gestire in modo autosufficiente i rifiuti piemontesi. È invece un peccato rilevare non solo la confusione ma il ritardo politico e culturale con cui la Lega Nord, per voce del suo responsabile per le politiche ambientali (qui sullo Spiffero) affronta la questione. È comprensibile solo perché fa il paio con il ritardo italiano sul tema dei rifiuti, in particolare in alcune regioni.

L’incenerimento è una soluzione in via di superamento. Le politiche occidentali, dei Paesi europei e dell’Unione europea puntano alla riduzione della quantità del rifiuto in discarica, per mezzo della differenziazione, del riuso e della riduzione in origine. La questione non è solo tecnica, di sigle come ATO, ISPRA, CCS e TMB: è anzitutto politica, cioè di posizionamento del Piemonte (e dell’Italia) sulla questione. La Lega, ma anche una parte dell’amministrazione centrale (come in una parte dello “Sblocca Italia”) conferma una predilezione per il passato. Anche la responsabile torinese del forum sull’ambiente PD (qui sullo Spiffero) trova ancora oggi la scorciatoia dell’incenerimento come  rassicurante rispetto al rifiuto per strada a Napoli e a Palermo.

Invece in Danimarca, Svezia, Germania gli inceneritori di 10-15 anni fa mancano ora di carburante, perché è andata avanti la raccolta differenziata. La Scozia è da ascoltare in Lega non solo per le questioni di indipendenza ma anche per lo “zero-waste-scotland”. La prospettiva politica di dopodomani  è persino nell’economia circolare, su cui è aperta in questi giorni la consultazione pubblica della Commissione europea. Anche l’economia cambia: in Italia, rispetto alle lobby che vogliono costruire casermoni da rifiuto da 120 milioni di euro, il mercato dei consorzi di riciclo si è meglio irrobustito, così come quello delle imprese che raccolgono, separano e rivendono. Il solo fatturato del riciclo degli imballaggi (CONAI e indotto) supera i dieci miliardi di euro annui.

Il Piano di Chiamparino ha il merito di restare nelle linee guida europee e di tendere a una riduzione dei rifiuti che faccia superare il problema. Il compito culturale della politica è di stare almeno al passo, di guardare avanti e non indietro: alla Scozia e a Berlino, per superare i cassoni verdi che mescolano vetro, cartoni e organico, inguardabili nel centro della Torino del 2015.

*Enrico Martial, coordinatore Scelta Civica Piemonte





http://www.lospiffero.com/ballatoio/non-rifiutare-le-politiche-dei-rifiuti-1845.html

lunedì 31 agosto 2015

A ottobre un ddl costituzionale anche per le autonomie speciali

29 - 08 - 2015 Enrico Martial
su Formiche


Anche le Regioni a statuto speciale parteciperanno al processo di riforma istituzionale ora al Senato per la seconda lettura. Per il sottosegretario Gianclaudio Bressa, esse avranno un “ruolo attivo e dinamico”. Dietro queste parole “renziane” pronunciate ad Aosta il 26 agosto, vi è la necessità del coinvolgimento delle sette autonomie speciali (le tre autonomie del nord, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige con le due Province autonome di Trento e Bolzano, e le due regioni insulari, Sardegna e Sicilia), per rivedere gli Statuti speciali in parallelo al DDL costituzionale Boschi, che non ha effetto su di essi in ragione di una specifica clausola di salvaguardia.
Il 18 giugno scorso, Bressa ha promosso la nascita di una Commissione tecnica per la revisione degli Statuti che si è riunita nuovamente il 26 agosto appunto ad Aosta, e a cui partecipano i rappresentanti tecnico-politici nominati dai sette governi regionali e provinciali. Molto prudenti e riservati durante la conferenza stampa al termine dei lavori, Gianclaudio Bressa e GianmarioDemuro, assessore sardo che coordina la Commissione tecnica, hanno lasciato intendere che l’obiettivo è uniformare e rendere più facili le procedure di revisione degli Statuti speciali (ora parzialmente diverse) per mezzo di un DDL costituzionale che il governo presenterà tra fine settembre e inizio ottobre sulla base delle proposte formulate dalla Commissione, dopo un incontro tra Governo e autonomie.

Al momento si è compreso che il DDL “autonomie speciali” dovrà riguardare soltanto aspetti procedurali comuni, e che toccherà anche il principio della previa intesa tra Stato e singola autonomia, ora iscritto “una tantum” nel DDL Boschi, in attesa forse di stabilizzarsi come metodo di lavoro.Resta quindi ancora nell’aria la questione delle competenze: Bressa ha detto che le autonomie non saranno toccate, ma che occorre aggiornare Statuti fermi anche nei contenuti al primo dopoguerra. Su questo aspetto non è ancora chiaro quanto sarà ammodernamento e quanto regionalizzazione o accentramento. Le norme di attuazione – leggi applicative degli Statuti in passato scese nel dettaglio di competenze quasi immodificabili – saranno oggetto di intervento, anche per assicurare tempi certi di approvazione degli atti da parte del governo (di solito in forma di decreti legislativi).
Per Bressa la discussione politica dovrebbe focalizzarsi sui contenuti della riforma Boschi, e quindi per esempio sulle competenze piuttosto che sul numero degli emendamenti al Senato. E si deve superare la vulgata secondo cui si tratta di una riforma accentratrice, considerato che giunge a compimento il superamento del bicameralismo perfetto che non era riuscito alla riforma del 2001: viene istituita una camera territoriale, come esiste in molti Paesi occidentali, che non vota la fiducia ma partecipa alla formazione delle leggi in vari ambiti di competenze.

mercoledì 29 luglio 2015

Il tabellone dell'Olimpo

(27 luglio 2015)

Ora che la maggioranza è più ampia, se non più solida, si andrà avanti. Il programma è stato aggiornato con un elenco asciutto. E’ già in atto al Casinò: nuovi vertici e volontà espressa di ri-governare un’azienda (pubblica) che una volta produceva reddito e ora grava tristemente sul contribuente valdostano. Anche un tema urgente come la scuola ha fatto progressi, fossero anche solo d’immagine: la ministra Giannini è venuta a firmare un documento sull’adattamento della Buona scuola alla specialità valdostana.

Il punto in discussione è infatti l’agenda politica, il programma di cose da fare, scritte e sottintese. Chi tiene l’agenda è anche chi la governa, chi ne stabilisce le priorità operative e le modalità, chi organizza e determina le scelte corrispondenti. Per questo occorre anzitutto sapere cosa c’è in agenda, cosa sta per capitare.

E il bello sono invece gli occhi sgranati di quelli che propongono, nel calore di luglio, lo stipendio minimo garantito, o altre proposte alla moda, citando la Serracchiani dal PD friulano o Piketty, nella totale indifferenza sui costi e sulle ricadute reali. Ritengono  che sia quella la priorità dell’agenda. Dall’Olimpo del secondo piano lo sguardo è divertito, incuriosito, per questo agitarsi nella caverna platonica. Le cose da fare sono altre e sono scritte sul Tabellone che permette di superare in velocità e contenuti sia la maggioranza sia l’opposizione. E quindi veloce legnata alla professionalità di Sergio Rizzo del Corriere della Sera sulla solidità dei conti regionali,  adattamento della Buona scuola alla specificità valdostana, probabile assunzione di un ruolo sulle riforme istituzionali e sui disastri del trasporto pubblico e privato. Insomma, un’agenda di governo, seria o di facciata, ma vera agenda.

La concorrenza politica può essere positiva. Può portare idee nuove, stimolare e aiutare, far accelerare e adattare problemi e rimedi, persino facilitare la sostituzione del personale politico. Invece, a star fuori dall’agenda delle priorità, a far liste di proscrizione a cinque stelle per un viaggio in autobus all’Expo, a scopiazzare salari minimi che finiranno per distorcere politiche sociali e di sviluppo, non solo non si va lontano, ma non si aiuta né la Valle né se stessi. Il manovratore sarà più solo davanti al tabellone,  forse anche più inquieto sulle decisioni, perché esposto a errori più numerosi e a maggiori rischi esterni. E resterà comunque insostituibile.

Enrico Martial

mercoledì 22 luglio 2015

Vincitori e Vinti


(Gazzetta Matin, 20 luglio 2015)

La settimana trascorsa ha segnato la fine del progetto Renaissance e dell’alleanza alternativa: ed è ugualmente esaurito lo slancio che la nascita dell’UVP aveva suscitato, anche nei consensi. Entusiasmo calato, Constituante scomparsa come esperienza di mera comunicazione senza base politica, modesti risultati alle comunali, linea tragicamente conservatrice in economia: niente riforme ma aumenti di spesa, difesa a oltranza del passato benessere. L’arrivo del PD in maggioranza si fonda non solo nell’orientamento riformista nazionale “renziano” o nel tradizionale collegamento diretto con la maggioranza nazionale, ma anche e soprattutto nella crisi dell’opposizione. Sono fatti misurabili: lo spaesamento produce due voti di astensione anziché contrari al passaggio del PD in maggioranza e di Raimondo Donzel in assessorato. Una specie di pre-adesione, semmai il progetto di governo diventasse più solido.

Anche dal lato opposto le mappe sono confuse. Due voti simmetrici di astensione nella maggioranza indicano altro malessere, che sottende dubbi in altri consiglieri. Le ragioni di superficie che vengono di solito addotte – di carattere, di poltrona – sono di nuovo da interpretare come sintomi di un progetto che non è capito, è poco spiegato, è poco condiviso. Il risultato è che per eleggere il nuovo assessore sono servite almeno undici ore di estenuante dibattito.

D’altra parte, la confusione delle mappe riguarda tutta la Valle e non solo il Consiglio regionale. Singoli individui hanno forse le idee più chiare, ma non abbastanza da motivare e riunire gli animi. Eppure i fatti parlano chiaro: sono finiti i soldi in Regione, l’economia fragilissima è appoggiata su poche imprese e su un tessuto di competenze in trasformazione. Varie minacce premono dall’esterno, tra cui il protrarsi della crisi economica e forse nuove rigide riforme finanziarie in Italia. Tra tutte, così come suggerito dal sottosegretario Bressa in Parlamento, il 20 maggio scorso, anche l’ambigua tentazione di rendere più uniformi gli Statuti speciali, la cui crisi nelle regioni insulari rischia di avere negativi effetti su quelle alpine.

Con questo scenario, anche il nuovo governo non pare così forte, tra incomprensioni interne e grane esterne. Ci vorrebbe forse un governo di larghe intese o di salute pubblica, con cui capire e poi affrontare le riforme strutturali e urgenti che servono per stare al passo con gli altri territori europei.


Enrico Martial

mercoledì 15 luglio 2015

Consiglio di risveglio

(Gazzetta Matin, 13 luglio 2015)

La politica regionale sembra muoversi sotto il segno della confusione, così come il riequilibrio e l’allargamento di maggioranza. Per semplificare, si riconduce tutto a una questione di poltrone. Invece è qualcosa di più.

Come altrove, le riforme sono diventate un obbligo, il problema attorno a cui attualmente ruota la conservazione e il consolidamento del potere ad ogni livello, da Tsipras a Hollande, da Renzi a Rollandin. Chi le mette in atto acquista forza, stabilizza le questioni economiche e sociali, mette in sicurezza i conti pubblici e quindi la propria posizione di governo. Non è una passeggiata: si devono affrontare proteste, incomprensioni, documenti tecnici e rognosi osservatori. Tispras sopravvive a stento, Varoufakis viene licenziato, Chiamparino e Renzi traballano, Rollandin deve correre. E’ una fase impegnativa per chi governa: con opposizione più facile da contenere, ma obiettivi più difficili da raggiungere.

In Valle d’Aosta, indicatori economici e percezione politica fanno capire che il ritmo delle riforme è inadeguato. Dal punto di vista del Presidente, si tratta al solito di scarsa capacità: incerta comprensione del messaggio e stentata esecuzione, nella maggioranza e nel governo regionale. Ci vuole un repulisti nei partiti e in Giunta, a costo di accentrare ancora. Altri, in maggioranza e all’opposizione rilevano mancanza di visione, di narrazione e di prospettiva: le riforme non spiegano dove si vuole andare, dove si intende portare la Valle d’Aosta. Anche i fatti, che dovrebbero parlare da soli, mostrano i limiti dell’azione regionale. Per esempio, il taglio delle spese sembra limitare il campo delle riforme al solo equilibrio di bilancio: mancano invece iniziative forti sulla semplificazione amministrativa, sulla pressione fiscale, sulla competitività, sulle facilitazioni per le aziende e il lavoro.


La fase che si apre in Consiglio Valle è quindi interessante. E’ possibile che l’allargamento della maggioranza preluda a un semplice ulteriore accentramento del potere, nello stretto perimetro del buon governo dei conti e della macchina regionale. Sarà una strategia utile per salvarsi in Italia, ma insufficiente per sopravvivere in Europa se finirà, fra poco più di un anno, l’iniezione di liquidità da parte della BCE. Nelle prossime settimane capiremo quindi se ci saranno le capacità, per dirla con Renzi, di interpretare l’accelerazione necessaria sulle riforme, in Valle d’Aosta e in Italia.

Enrico Martial

martedì 7 luglio 2015

Lezione di Greco


di Enrico Martial
(Gazzetta Matin, 6 luglio 2015)

Malgrado le alte montagne che la proteggono, la Valle è ben inserita nel sistema europeo. I grandi fenomeni economici, sociali e culturali arrivano anche qui.
Il dibattersi greco tra instabilità balcanica e impegno europeo è un grave caso specifico di un processo di decennale trasformazione. L’integrazione europea non è questione buonista o retorica da portare nei licei o nelle bancarelle, ma un’armonizzazione di norme e di comportamenti decisionali, nell’amministrazione, nelle imprese e nei cittadini, come sistema di diritti e di doveri. La stessa Italia si è largamente modernizzata grazie al contesto europeo, per quanto rimangano vivaci sacche di cattiva amministrazione e debole politica. La pace interna tra gli Stati, la stabilità esterna rispetto a un mondo rissoso, e anche uno sviluppo economico aperto in un mondo globalizzato sono risultati visibili anche dal punto di osservazione valdostano.

Le regole sono simili dappertutto, in Bretagna, nel Peloponneso e in Valle d’Aosta, dagli appalti alle norme ambientali, dalle regole di bilancio alla trasparenza e funzionamento amministrativo, e ora nei fatti anche nel mercato nel lavoro. Per noi oggi, esse richiedono capacità di comprensione, di governo e d’azione non soltanto dai vertici regionali, ma da tutto il sistema valdostano. Per stare al passo nell’Europa integrata  è necessario che le nostre scuole, la nostra amministrazione, le nostre imprese – Casinò compreso – funzionino più o meno come fossero in Baviera o in una provincia olandese. Ritardi formativi, eccessi di personale, rigidità corporative, freni all’innovazione, complicazioni cartacee dell’amministrazione sono ostacoli allo sviluppo della Valle. La tempesta che si è addensata dopo la crisi del 2008, ora aggravata con il caso greco, richiede una più alta coscienza e responsabilità di tutti. Occorre migliorare in fretta ciò che facciamo al nostro interno.

Dobbiamo però anche portare un contributo più generale. Malgrado i decennali attacchi di una parte della stampa italiana, la Valle gode di una discreta reputazione al suo esterno, forse perché gli altri fanno peggio, o forse per qualche risultato raggiunto. Di fronte alle chiusure di altri – come in Piemonte o in variegate voci politiche -  occorre posizionare la Valle sulla propria capacità di gestire la propria specificità e di cogliere le opportunità dei cambiamenti e delle riforme in corso: che oltre ad essere utili allo sviluppo offrono una nuova linea d’azione per i prossimi anni, anche nei rapporti con Roma (sullo Statuto) e con Bruxelles (su norme e politiche). 

mercoledì 1 luglio 2015

Ora tocca allo Statuto


(Gazzetta Matin, 29 giugno 2015)
di Enrico Martial

Il 18 giugno scorso, il sottosegretario agli affari regionali Gianclaudio Bressa ha ospitato a Roma una riunione dei presidenti delle Regioni speciali e province autonome in vista della revisione dei loro Statuti. E’ stata costituita una commissione tecnica preparatoria, di cui farà parte Robert Louvin, nominato a questo scopo dalla Giunta regionale il 26 giugno.

La riforma dello statuto è il secondo grande nodo che viene al pettine, dopo quello finanziario. Il bilancio regionale è sceso di circa 600 milioni, gran parte per la soppressione della quota sostitutiva dell’IVA da importazione e 220 come contributo regionale al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica statale. Adesso è la volta delle competenze e dello Statuto.

E’ una riforma che non sembra spaventare. Sidice che ogni modifica sarà concertata tra lo Stato e la singola Regione o Provincia speciale, le rassicurazioni nazionali sono frequenti nei modi e nelle parole, sia da parte del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, sia da parte dei ministri, ultimo quello dell’istruzione Stefania Giannini sulla buona scuola e le specificità della Valle d’Aosta.

Eppure vi sono segnali d’allarme. Il 18 giugno, mentre il presidente della Valle sottolineava il principio dell’intesa, il collega presidente dell’autonoma Sardegna Francesco Pigliaru considerava le “norme di attuazione come strumento da utilizzare in modo unitario, con l’obiettivo di armonizzare i risultati delle singole intese” cioè, per armonizzare tra loro gli Statuti speciali. Nei media e nel dibattito politico il clima è poi ostile da anni. Le critiche condizioni in cui si trovano le Regioni ordinarie non aiuta. Prevale la logica del centro, delle “norme fondamentali di riforma economico-sociale” che la revisione costituzionale vuole rafforzare, e a cui si appella per le Speciali la legge delega sulle direttive appalti e concessioni, approdata il 22 giugno alla Camera.


Il contesto politico valdostano sembra guardare altrove. L’opposizione rischia di passare dalla “Constituante” alla protesta nazionale civatiana a cinque stelle, allontanando prospettive di governo e messa a fuoco delle priorità, compresa quella sull’autonomia.  La maggioranza naviga in un quadro complicato tra pressione delle decisioni amministrative e allargamento al PD: il quotidiano si riempie ed è difficile sviluppare una visione globale. Da fuori, bussano alla porta.

lunedì 22 giugno 2015

Arriva il difficile

(Gazzetta Matin, 15 giugno 2015)

Finora, tutto bene. Nelle urne la protesta è stata significativa ma contenuta. La firma al patto di stabilità ha confermato la sintonia con il governo nazionale, il sindaco di Aosta è al lavoro. I fatti hanno confermato che problemi si risolvono con serietà, e non basta far moralismi quando poi non si è pronti ad accogliere i migranti. E’ partito un bando per l’innovazione da 3 milioni e mezzo con i fondi europei, 350 forestali hanno un lavoro, e persino un nuovo asteroide ha ottenuto il nome “valléedaoste”.

Qualche anno fa, sarebbe stata la routine della Valle Felice: oggi sono novelle che stentano a far tornare il sorriso. C’è un rumoreggiare di fondo di un contesto diverso. Il sistema di buone condizioni di lavoro, opportunità e soluzioni dipendevano dal ricco bilancio regionale e da un tessuto di organizzazioni e strutture che interagivano in modo compatibile.

Oggi, con meno risorse e la necessità di fare sviluppo lo stesso, gli equilibri tra le strutture e le persone sono peggiorati, per trasformarsi in una generale condizione di paura, di atteggiamenti difensivi, corporativi,  conservatori. La scuola valdostana che espelle uno studente su cinque non si tocca: e si protesta contro il preside-sceriffo, a conferma che gli insegnanti vanno bene così come sono. Conferire la spazzatura più lontano e con maggiore selezione comporta un impegno che si rifiuta, anche se il risparmio è di 400 mila euro all’anno. Lo stipendio al Casinò va difeso, anche se supera la soglia del pudore. Non si vuole aumentare il numero delle guide turistiche, anche se manca chi parla russo. La centrale del latte è un rudere, ma è della Regione, quindi di un ufficio, quindi di un numero limitato di persone: che prendono il tempo che vogliono per decidere cosa farne.

Si badi, sono tutte reazioni legittime, perché quel preside è antipatico, l’impegno per la differenziata è appunto aumentato, il lavoro è precario. E’ un borbottio che non trova ragioni per giustificare il presente e le sue scelte obbligate, che si alza di tono perché non capisce il futuro. Perché mancano un disegn e una prospettiva mentre la politica – soprattutto in Consiglio regionale – è totalmente in silenzio. Le mille interpellanze dell’opposizione esprimono paure e insufficienze a cui si risponde con posizioni difensive da amministratori del presente, non del futuro di una comunità: senza indicare un indirizzo collettivo e quindi un orizzonte trovare giustificazione al cambiamento in corso.


Enrico Martial

sabato 20 giugno 2015

Non rifiutare


(Gazzetta Matin, 8 giugno 2015)

Due giorni fa, nel scegliere la frutta al supermercato di piazza Plouves ad Aosta, una signora si chiedeva se il sacchetto che usava fosse compostabile.  Spedite dalla famiglia a portare la spazzatura in via Sant’Orso, due ragazze divertite piazzavano la plastica nei nuovi contenitori da Star Trek. Una trentenne con marito (o compagno) si lamentava bonariamente dell’altezza propria e dello sportello. Un tizio invece brontolava schiacciando con i piedi una latta di alluminio di un bar, perché non entrava nella feritoia.  Tutti ponevano con una qualche soddisfazione la tessera magnetica sul lettore, per far aprire il “flap”, chiedendosi se sarebbe poi stato quello di “destra” o “sinistra”.

Insomma, la nuova raccolta dei rifiuti nel centro di Aosta è davvero una novità. E’ stata accolta bene, e abbastanza bene persino da quelli che incontrano le principali difficoltà di adattamento, e cioè i maggiori produttori di rifiuti, commercianti ed esercenti. Il Comune aveva studiato altre esperienze europee, calcolato i costi e non solo i vantaggi ambientali. Soltanto ad Aosta, i setti centri di raccolta comporteranno 400 mila euro di risparmi annuali, tra riciclo venduto ai consorzi e minori costi di raccolta. Quando il sistema si estenderà a tutta la Valle il risparmio sarà  di milioni di euro: decine e centinaia di euro per ogni famiglia e impresa, anche commerciale. Siamo sulla strada dello zero rifiuti in discarica, come fossimo in Danimarca, in Tirolo o a Basilea. I soldi per l’inceneritore erano davvero buttati, e se ne stanno accorgendo anche al colosso di Gerbido a Torino. La tendenza all’economia circolare è davvero irreversibile, come è stato per la fine dei sacchetti di plastica o per l’energia degli edifici.

Ai commercianti costava poco lavoro mettere i rifiuti davanti al negozio, che però richiede più soldi nel servizio. Si guarderà quindi a come far meno fatica, ai costi non solo di acquisto ma anche di eliminazione degli imballaggi. I commercianti sono in prima fila nella battaglia, perché proprio a loro fornitori e produttori rifilano senza batter ciglio una montagna di scatole e plastiche intorno ai prodotti da vendere, e quindi appioppando di soppiatto molti costi aggiuntivi. Dal consumatore e dal negoziante verrà la richiesta di produrne meno, per spendere meno ed essere un po’ migliori. Il cambiamento è in corso e siamo in prima fila.

Enrico Martial




giovedì 11 giugno 2015

A scuola di domani


(Gazzetta Matin, 1° giugno 2015)

Maneggiare il tema della scuola è difficile, per quanto della massima importanza. Nel suo libro recente, Cesare Dujany racconta come nei primi anni (o decenni) dell’autonomia l’Assessorato alla pubblica istruzione sia stato quello tra i più importanti da assegnare. Pochi giorni fa il Salone di Palazzo regionale è stato intitolato a Maria Ida Viglino, insegnante di matematica e assessore. Tutti noi siamo stati a scuola: ma soprattutto abbiamo a che fare con persone che della loro esperienza a scuola portano ancora con sé pregi e difetti.

Il Consiglio Valle ha invitato con una mozione l’Assessorato a darsi una mossa, di fronte all’iniziativa presa da Matteo Renzi con la “Buona Scuola”. La nostra autonomia ha fino ad ora prodotto poco, con faticosi tentativi d’innovazione oppure iniziative spesso scoraggiate dal mondo freddo della politica e degli insegnanti.

Certo, a confrontarsi con l’Italia, la scuola valdostana non sembra meritare interventi specifici. Eppure ci sono segnali d’insufficienza, e variamente rappresentati: diverse famiglie cercano di integrare la formazione con corsi di lingua all’estero oppure con Intercultura, o con esperienze lavorative. Al Lycée René Dayve di Passy si è quasi formata una piccola colonia di studenti in fuga dalla Valle, altri sono finiti a Valbonne. Anche i numeri sono sconfortanti: gli abbandoni scolastici in Valle sono superiori persino alla media italiana, il numero di laureati troppo basso rispetto agli standard europei.

La reazione di un certo numero d’insegnanti al cambiamento partito da Roma è stato di rumorosa chiusura, con argomenti che circolano soltanto all’interno della loro corporazione e lasciano freddi molti di noi.  Per quanto fondati, essi esprimono paure, questioni di assunzioni e trasferimenti, e molta retorica nazionale, figlia dell’assemblearismo italiano degli anni Settanta che ancora sfianca in riunioni lo spirito positivo di molti educatori.


Da subito occorre invece una visione più ampia, perché a scuola vanno coloro che affronteranno le sfide della Valle d’Aosta di domani. E’ una faccenda che riguarda tutti noi e tutta la Valle, e non soltanto qualche migliaio di persone, da regolare con denaro e posti sicuri. E’ forse il primo messaggio che ci si attende dalla politica: usare i margini dell’autonomia per migliorare la scuola e per preparare il futuro, e non già per difendere fortini vecchiotti e arroccati.

Enrico Martial

venerdì 29 maggio 2015

Tradition et Renouveau

di Enrico Martial
(Gazzetta Matin, 25 maggio 2015)

Sabato scorso, 23 maggio, la Cooperativa Forza e Luce di Aosta che nel 1896 portò l’elettricità ad Aosta festeggiava da un lato i suoi 120 anni di vita e dall’altro il recupero della vecchia centrale di Saumont con un nuovo generatore idroelettrico e un nuovo fabbricato tecnologico. I 120 anni confermano solidità e coesione di quella “Vecchia Aosta” che va avanti, dalle famiglie più vecchie alle nuove, dai Gonrad, ai Boch, ai Torrione, ai Roux e ai Marten-Perolino, ai Fosson, ai Vietti e persino ai Martial e quanti altri, tra nipoti e figli, patois e vicende personali, matrimoni e nuovi arrivi.
 
La centrale di Saumont è stata devastata dall’alluvione del 2000, e a un certo punto ci si è chiesto se non fosse il caso di liquidare l’edificio, di chiudere la partita e farla finita. Invece è partito il recupero e la rimessa in funzione di un impianto da un centinaio di chilowatt, segno di una comunità testarda che non arretra, che non rinuncia all’iniziativa nata nel 1908. A costo di allungare i tempi di rientro dell’investimento, si è guardato al medio termine, ai nipoti di oggi che diventeranno prima padri e poi nonni di altri nipoti: che ritroveranno tra le loro mani la vecchia centrale ancora in funzione.

Da sola però la tradizione e la testa dura non bastano. Il recupero di Saumont è infatti fondato sull’innovazione, diremmo in Valle sul “Renouveau”, sulla capacità di stare nel presente, tra competitività, certificati verdi e automazione, in mezzo alle nuove tecnologie digitali della nuova sala riunioni e le trovate tecniche qui e là disseminate. Anche l’opera di mitigazione del rischio che segue l’alluvione del 2000 è innovativa e avveniristica: un anfiteatro e promontorio a protezione della centrale che quasi non si vede.


Con 600 milioni in meno nel bilancio regionale, i risparmi delle famiglie intaccati, una generale mancanza di visione, il caso di Saumont è esemplare, ed è incredibile come lo slogan di Tradition et Renouveau conservi intatto il suo significato anche oggi. Sul patrimonio di competenze e di risorse (la tradizione) e sull’innovazione (il renouveau) sono persino scritti i programmi europei per la competitività e lo sviluppo fino al 2020. All’alluvione economica e sociale del presente non bastano la firma del Patto di stabilità e le nuove giunte comunali, e non basta dunque tappare buche e fare amministrazione. Occorre anche visione, indicare una strada per ripartire, e intraprenderla.

domenica 10 maggio 2015

Dopo l'antipolitica

(Gazzetta Matin, 4 maggio 2015)

La conclusione assolutoria del procedimento sui costi della politica in Valle d’Aosta coincide con un cambiamento di agenda a livello nazionale e regionale, che sta superando la semplice antipolitica a favore di altri temi. 

Strali contro i politici ve ne saranno ancora, ma il quadro sta cambiando, tra speranze e attese di ripresa, tra Renzi, Expo di Milano, polemiche e fatturati.
In questa terra di mezzo, in quest’attimo di respiro che ci è concesso, senza ancora sapere se andrà meglio o peggio, mentre si salvano competenze e Corpo forestale, forse sarebbe il caso di curare i feriti e dare un’occhiata alla carta geografica, per capire dove andare.

La strada più facile sarà non far nulla, tornar come prima, un po’ come avvenne dopo Mani pulite. In Valle significherebbe ricostruire un consenso fatto di relazioni verticali costruite sulla prevalente distribuzione di risorse e solo in parte sullo sforzo individuale e collettivo di costruzione del benessere. E’ un contesto facile ma anche pericoloso, perché presto capace di produrre nuove accuse, nuove ombre e quindi nuova antipolitica, gran nemico in caso di nuove crisi economiche.

La strada più sensata sarebbe quella di prendere atto del ciclo concluso, e passare all’iniziativa. In grande parte dei Comuni e anche ad Aosta, malgrado l’apparente richiamo ai grandi sistemi, il dibattito delle elezioni comunali resta molto concreto,  su vivibilità, sviluppo economico, ambiente, competitività, costi e qualità dei servizi, capacità amministrativa. E’ un buon governo però passivo e privo di strumenti rispetto ai cambiamenti che tendono a cadere dall’alto, dalla diminuzione delle aziende zootecniche, all’internazionalizzazione del turismo, all’innovazione della produzione e dei servizi, alle trasformazioni sociali, alla liberalizzazione di cluster ora protetti e a fatica difendibili, per esempio nella scuola, nei trasporti, nelle professioni. Di questo futuro assai presente ci occupiamo ancora troppo poco, e molte cose che stentiamo ad accettare sono già leggi derivanti da norme europee, e si possono solo applicare: i più veloci e competitivi, anche nelle Alpi, addirittura le anticipano, non solo nell’economia, ma anche nel funzionamento della politica.

In quest’attimo di respiro che ci è concesso, dovremmo forse fare un esame di coscienza, evitare di tornare indietro e riprendere l’iniziativa con un po’ di serietà, dopo la dura lezione di due anni di antipolitica.


Enrico Martial

lunedì 4 maggio 2015

Domani accadrà

(Gazzetta Matin, 27 aprile 2015)

In Consiglio Valle, malgrado il 18 a 17 su cui poggia la maggioranza, malgrado l’apparente vivacità delle interrogazioni dell’opposizione, il governo del presidente è per il momento saldissimo. Il controllo sull’esecutivo è certo continuo, ma nulla di solido si vede oltre questa nobile funzione: una prospettiva, una capacità di governo. Separatamente, alcuni consiglieri mostrano capacità amministrative; ma la visione più generale traballa, manca l’orizzonte politico e non solo la squadra.

Oggi non si vede un sostituto alla persona del presidente, né altra capacità per governare e non solo amministrare una regione piccola ma con un sacco di competenza politica e tecnica come la Valle d’Aosta. Con l’economia a un cambio d’epoca, con gruppi d’interesse che dovranno perder posizioni senza rivoltarsi (troppo), con l’autonomia da mantenere in equilibrio tra consenso interno e salvaguardia dei rapporti nazionali, con dozzine di problemi pronti a complicarsi: rifiuti, autostrada, turismo, imprese, sicurezza, allevatori, noleggiatori, guide turistiche, insegnanti, impiegati del Casinò, impiegati forestali, impiegati sanitari, impiegati regionali, mogli, mariti, zii e cugini.

Secondo la nostra legge regionale, non si può stare in giunta per più di due legislature, e a rigore Rollandin al prossimo giro potrebbe fare solo il consigliere, a meno che non si vada a votare subito, cioè entro l’autunno. Ma sarebbe solo un respiro supplementare, altri due anni e mezzo. E per andare a votare subito occorrerebbe un disastro alle comunali di Aosta, la frantumazione della maggioranza, cioè un prezzo piuttosto alto.

D’altra parte, in due anni e mezzo, l’alternativa sostenibile, da una parte o dall’altra, non si vede, e il prezzo di allora potrebbe essere non meno elevato: in assenza di un governo capace, potrebbero essere a rischio pace sociale, autonomia ed equilibrio dei conti.
Eppure la scadenza è quella. Sarebbe forse ora di prenderne atto e di mettersi a preparare un gruppo capace di governo e non solo di sudditanza obbediente o protestataria. Lo stesso presidente e i partiti dotati di buon senso dovrebbero costruire un percorso – che non è solo di persone ma di visione - che permetta di assicurare in modo sopportabile la futura gestione delle grane ordinarie, e di attrezzarsi rispetto ai possibili venti e tempeste che passano sopra le nostre montagne e che possono, come già fanno, scendere a valle.

Enrico Martial

Note
cfr. art. 3, comma 3 Legge regionale 7 agosto 2007, n. 21
Disposizioni in materia di modalità di elezione del Presidente della Regione e degli Assessori, di presentazione e di approvazione della mozione di sfiducia e di scioglimento del Consiglio regionale
(B.U. 14 agosto 2007, n. 33)

http://www.consiglio.regione.vda.it/banche_dati/leggi_regolamenti/dettaglio_i.asp?pk_lr=4123&versione=V

giovedì 23 aprile 2015

1685 buone ragioni


(Gazzetta Matin, 20 aprile 2015)

Ci sono 1685 buone ragioni per essere positivi. In un momento di disincanto italiano se non di rigetto per la politica, 1685 valdostani si candidano per le elezioni comunali, in una dimensione territoriale fatta di altitudini, paesaggi, comunità e persone. A volte con una sola lista, frutto di accordi di persone e di governo, a volte con due o tre liste, raramente su schieramenti precostituiti, spesso per diverse visioni del futuro del proprio paese. Certo, non tutto è poesia e tenue acquarello: gli scontri sono anche forti, anche personali. Il ritorno alla prevalenza del Consiglio rispetto al Sindaco nei piccoli comuni ridurrà molte tensioni e restituirà il senso del lavoro collegiale di cui, a distanza di tempo, parla con passione un Carlo Perrin, come avviene nei cantoni e nei land svizzeri e austriaci, e come si ritrova nelle pagine di Arend Lijphart, per chi volesse approfondire.

1685 candidati sono un grande valore per una comunità di 130 mila persone, che partecipa alle vicende personali e alle proposte, caso per caso. E’ un processo trasparente, di cui tutti parlano per strada, sui giornali e negli incontri anche casuali, tra critiche, battaglie, schieramenti e commenti, battute, speranze e progetti. E’ un punto di forza di cui non solo andar fieri, ma da proteggere e coltivare.

Perché dietro c’è una comunità, la stessa che cercava senza successo Henri Putnam nel Mezzogiorno, che raccontava Carlo Cattaneo dei comuni lombardi, che si trova nelle pagine e nelle lettere di Chanoux e del canonico Bréan. E’ una comunità che si protegge e si coltiva da sola, per lo stesso fatto di condividere uno spazio piccolo, bello e familiare, una piccola patria di luoghi e d’identità condivise. Un po’ è anche da proteggere, come fanno coloro che ritrasmettono il senso del volontariato, della vita comune dei paesi, anche nell’organizzazione degli eventi.

Rassicura il fatto che rispetto all’Italia in Valle esistano partiti vivaci e stabili, anche dal differente formato, che i loro esponenti si interessino ai principi della cittadinanza attiva (come un Piero Floris) o al rinnovamento dei partiti in Europa (come un Ennio Pastoret), e che facciano anche le battaglie quotidiane. Per questo è positivo che in Regione si mantenga e si rafforzi la trasparenza della politica, grazie ai giornali, e come testimonia il controllo sociale solido e attento del passaparola, che già accenna e si inquieta di possibili elezioni in autunno.


Enrico Martial

giovedì 16 aprile 2015

Lo Gattopard valdôten (sui trasporti)

(Gazzetta Matin, 13 aprile 2015)

Se l’esercizio del Gattopardo è ben raffinato in Sicilia e in Italia, esso pare assai meno sofisticato tra le mura del Consiglio regionale, che ha da poco tenuto una sessione tematica dedicata ai trasporti, tra antichità ferroviarie, tariffe ai caselli, disordine degli orari, costi di gestione.

Il Consiglio regionale auspica ancora la proroga delle concessioni autostradali per contenere le tariffe, come lo Sblocca Italia dell’ex-ministro Lupi, di fatto superato dalla direttiva europea “concessioni” del 2014, come ha detto lo stesso presidente dell’Aiscat, Fabrizio Palenzona il 30 marzo scorso a Reuters, come si discute in Senato e come già da tempo ammoniva Cantone. Poiché ogni proroga andrà intesa come nuovo contratto obbligando a  nuova gara, il dibattito valdostano si nascondeva alle novità, dimenticando direttiva, rischio d’impresa ormai in capo al concessionario, e quindi i meccanismi alle origini delle attuali tariffe.

Sulla ferrovia, si malcelava l’essenziale, cioè che le competenze su Aosta-Torino e su Aosta Pré-Saint-Didier sono integralmente passate (oneri compresi) dallo Stato alla Regione, come norma di attuazione dello Statuto, sin dal 26 ottobre 2010: come fosse per le cave e torbiere, o l’artigianato. Eppure a destra e sinistra a chieder norme di attuazione delle norme di attuazione, come per tirar tardi e sfilarsi dalle grane. Perciò silenzio sulla possibilità di metter a gara il servizio Aosta-Torino come quarto lotto nel pacchetto di gare che prepara il Piemonte, e silenzio sullo sciopero dei ferrovieri appunto contrari alle gare. E’ andata tutta così: nebbia sul Piano Nazionale degli aeroporti che ha già tolto lo scalo di Aosta dal salotto buono, silenzio su Uber e BlaBla car. Silenzio sulla necessità politica di acquisire l’infrastruttura da RFI, strada ferrata e stazioni, prima di decidere sugli investimenti. 

Sordina tecnica sul riparto finanziario del decreto legge del 2 maggio 2014, così come sulle norme di concorrenza sul trasporto pubblico locale su gomma. Qualche fuga in avanti, come l’auspicio di una nuova ferrovia parallela all’autostrada, e quindi senza passar dal centro di Ivrea.

Un Consiglio Valle opaco secondo molti consiglieri, di maggioranza e opposizione, finito in una china da cui bisogna risalire. Anche i giornalisti in sala stampa ascoltavano alla ricerca di un qualche punto di appoggio, per scrivere qualcosa di decente e credibile. Alla ricerca non del Gattopardo, ma di quel Voir Clair di Chanoux che resta pur sempre impresso sulla facciata di piazza Deffeyes.

Enrico Martial

martedì 3 marzo 2015

Senso di colpa con rimborso

(Gazzetta Matin, 2 marzo 2015)

Non facciamo bella figura, con questa storia dei rimborsi anche se, nel senso comune, le accuse non sono così roboanti. Report esibì una ricevuta da un milioncino di euro per un gruppo del consiglio calabrese e ricordiamo il suv comprato nel Lazio per fronteggiare la rarissima neve romana. I nostri sono nei guai anche se l’impiccio da dirimere riguarda i costi del precario giornalino del movimento. In più, li conosciamo di persona, e li sappiamo diversi dal signor Fiorito.

Tuttavia, indipendentemente dall’esito, il danno è fatto per la sola esistenza dell’accusa. Il nostro adeguamento al funzionamento delle altre assemblee regionali ha comunque lasciato aperto un varco che avremmo potuto tenere chiuso, proteggendo la reputazione non soltanto del Consiglio Valle, ma anche della nostra autonomia e della Valle d’Aosta. Assimilati alle altre Regioni, fatichiamo a spiegare che siamo più seri, proprio in questa stagione di riforme.

Viene allora spontaneo chiedersi come si sia potuto lasciare agli eletti in Consiglio Valle la responsabilità diretta e personale della gestione fisica e contabile dei soldi, cioè di tenere contratti, ricevute e pagamenti. Leggiamo di errori banali in assenza del ruolo degli uffici: separazione tra decisore, liquidatore e pagatore, controllo esterno, trasparenza, regolarità degli archivi. I nostri personaggi più coloriti si sono trovati conservare ricevute, senza accorgersi che gli uffici si erano ritirati dalle proprie responsabilità, lasciando loro in mano un petardo a orologeria e alla nostra autonomia una mina sotto i piedi. Una burocrazia qui distratta, ma arcigna e mal zelante altrove, quando con i fondi europei rifiuta il rimborso del trasporto alternativo all’oratore atterrato in altro aeroporto, o immagina i professori universitari non candidabili alle elezioni regionali.

Anche la società civile poteva mettere becco. Oggi la morale dei giornalisti stride, se da tempo potevamo scrivere una noterella, o fare un’inchiesta prima della procura. Sia detto non per cospargere falsamente d’inchiostro il capo mio e dei colleghi, ma per il futuro. Perché i capigruppo, sotto gli occhi tutti, fanno ancora adesso, a marzo 2015, il lavoro degli altri: tengono contratti, carte, e fanno i conti a penna, pronti a sbagliare un totale e a perdere una ricevuta. Con gli uffici che ancora non hanno fatto proprio l’errore, e ancora paiono irresponsabilmente distratti.

Enrico Martial

venerdì 27 febbraio 2015

La Svizzera è vicina

(Gazzetta Matin, 23 febbraio 2015)
Sia anche per adeguamento a disposizioni nazionali, l’amministrazione regionale elimina le posizioni di 14 dirigenti,  come già era avvenuto nel marzo del 2012, quando i posti tagliati furono 12. Sono azioni di revisione della spesa che in Valle proseguono con sofferta regolarità, a differenza di regioni che se ne infischiano. Sono accompagnate da strumenti di facilitazione, o colgono l’età della quiescenza per coloro che occupano quelle posizioni.

Occorre un’amministrazione più leggera, e sarebbe ottimo se fosse anche più efficiente. L’elefantiasi del sistema pubblico (italiano ma anche valdostano) deriva però non solo dal numero dei dirigenti, ma anche dall’eccessiva presenza nell’economia, da troppi beni demaniali spesso male utilizzati e con scarsa manutenzione. Troppo pesanti si diventa lenti: capita anche in Valle d’Aosta, in cui da tre anni si attende una gara per dare un futuro a un pezzo del vecchio villaggio minerario di Cogne.

Accanto ai tagli, ci vorrebbe dunque più efficienza, che richiede però spinta e visione politica. Per esempio, in Svizzera il cambio con l’euro è passato da 1,6 del 2008 prima a 1,2 e poi fino a 1,07 attuali. Gli sforzi di contenimento della Banca centrale svizzera alla fine hanno lasciato libera la moneta di fluttuare. Eppure dalla nostra macchina amministrativa regionale e dalla camera di commercio non c’è stata quasi reazione.  Non ci è venuto in mente che l’appartamento, per noi di 200.000 euro, al cittadino di Martigny con franco rivalutato costa oggi, alla grossa, circa 135.000 euro. O che il rubinetto del negozio a Quart, il mobile della cucina venduta a Sarre, il servizio dell’artigiano di Roisan, venduto a Verbier o a Montreux è di fatto scontato per il compratore svizzero del 35%-37% rispetto a cinque anni fa.

Anche indipendentemente dall’andamento delle importazioni generali, gli acquisti frontalieri di parte svizzera sono in impennata. Ci vorrebbe perciò informazione e promozione, un affiancamento delle imprese e degli artigiani per aiutarli a esportare beni e servizi. Si potrebbe ricordare che la Svizzera è vicina e pensare a quante opportunità siano offerte a un’economia come la nostra, alla ricerca di sbocchi e di nuovi percorsi. Nel corso di questa settimana, ogni assessore ne potrebbe parlare con il restante centinaio di dirigenti regionali. Non sarà un corso di formazione, ma almeno sarà un segnale a darsi da fare.

Enrico Martial

venerdì 20 febbraio 2015

14 miliardi e non sentirli


(Gazzetta Matin, 16 febbraio 2015)
Al convegno “Abitare 2.0” organizzato il 12 febbraio da Nuova Energia, c’erano tre assessori e un presidente di Camera di commercio, con un parterre di professionisti, imprenditori, proprietari di vera qualità. Mentre si parlava d’innovazione, di partenariato pubblico-privato, di tecnologie verdi e di funzione del fabbricato, il discorso è andato a cadere sui soldi che son finiti.  Va bene, la mancanza di denaro è stimolo all’innovazione, al mercato: un fatto positivo. Se non fosse che questa consapevolezza è di solito da noi accompagnata - com’è avvenuto nel convegno - da gran sensi di colpa, sui soldi che si son precati e che forse neppure ci spettavano.

Questo cospargersi di cenere per i peccati passati è certamente un bene, perché invita a migliorarsi, e
perché in Valle, adusi a criticare ogni muretto e teleferica, il controllo sociale è forte: le cose losche
diventano presto chiare ai più, e alla fine il troppo scaltro (a meno che non sia proprio un genio) vien
pescato, e quantomeno privato di stellette.  La Valle è un luogo dove il controllo sociale (quindi politico) esiste, dove due Presidenti che viaggiavano in elicottero hanno presto visto sgretolarsi la loro maggioranza, anche perché viaggiavano in elicottero.

La Regione Piemonte ha circa 14 miliardi di debiti, 8 suoi e circa 6 delle partecipate, senza contar province e comuni. Non chiude mai il bilancio (la legge regionale di stabilità) il 31 dicembre e va sempre in esercizio provvisorio. Diventano sfasati anche i bilanci delle ASL, così ognuno spende stimando quanto gli spetta, e ovviamente spende di più. Per capirsi, 14 miliardi sono circa 3-4 punti di IVA in meno per l’anno prossimo per tutta l’Italia, dal 22% al 19%. Eppure, laggiù i sensi di colpa non si vedono, e i miliardi sembrano leggeri: il Piemonte così poco sabaudo vorrebbe acquisire la Liguria (il progetto Limonte della Bresso) e fors’anche la Valle d’Aosta (proposta Chiamparino et alii sulla fusione delle Regioni).

Non siamo svizzeri, ma in Valle i bilanci si chiudono per tempo, e i tagli si fanno prima dei debiti. Le opere pubbliche sono presenti, anche se si poteva far meglio. Per questo in Valle, quando si indugia sulle nuove maggioranze, si potrebbero produrre meno dubbi e sensi di colpa, e avere più serenità sul proprio passato e più coraggio per il futuro. Gli accordi e i programmi sarebbero senz’altro più facili da costruire.

Enrico Martial

giovedì 12 febbraio 2015

Confondere le priorità non aiuta


(Gazzetta Matin, 9 febbraio 2015)
Bene ha fatto Laurent Viérin a dire che non era faccenda di poltrone. La questione dell’autonomia è infatti al centro del dibattito, e il tavolo politico che avviato con la Constituante a Cogne dovrebbe essere il metodo. Il problema dell’autonomia dovrebbe venire prima delle politiche di settore e prima delle posizioni di governo, che sono strumentali e subordinate. Il futuro della Valle d’Aosta come soggetto autonomo nel quadro della Repubblica è oggi al centro dell’agenda politica: l’UVP, a Cogne, ha avuto il merito di sottolinearne la priorità.

Da fuori Valle i segnali negativi si rafforzano. Pur nell’ottima elezione del Presidente della Repubblica, diversi osservatori hanno notato che nel discorso alle Camere non solo non v’era riferimento alle autonomie, ma neppure alle Regioni e ai territori. Chiamparino, Presidente della Conferenza delle Regioni, dove siede anche la Valle d’Aosta, ha rilanciato questa settimana la proposta di fusione delle Regioni, disegnando una specie di ritorno al Regno di Sardegna. Il Ministero degli Affari regionali della dimissionaria Lanzetta continua a impugnare leggi regionali dinanzi alla Corte costituzionale. In Parlamento mancano gli Emilio Lussu e cresce un neonazionalismo (antieuropeo) che si respira persino nella Lega nord.

La battaglia ipotizzata a Cogne faceva immaginare il superamento degli steccati recenti. Per dare gambe al nuovo disegno sono stati tracciati nuovi equilibri, e lo stesso presidente del Consiglio Valle ha annunciato le proprie dimissioni in questa prospettiva. Il percorso era corretto, a condizione di tener centrale il tema dell’autonomia, e secondarie le questioni di poltrona e le politiche di settore.

In questo senso è importante che il tavolo di Cogne prosegua. Se l’Union Valdôtaine organizza un evento a Pont-Saint-Martin, è bene che tutti siano presenti, anche l’UVP, e se la Regione stabilisce di ricorrere sulla legge di stabilità perché viola i principi statutari e pattizi, dopo opportuna verifica, si potrà sostenere l’iniziativa indipendentemente da maggioranze e minoranze.

Poi sulla scuola, su quell’opera pubblica, sulla gestione dei rifiuti, oppure sui treni si potrà mantenere la dialettica, anche aspra, e confermare i ruoli di maggioranza e opposizione. Al contrario, mescolare tutto, treni, poltrone e autonomia aiuta solo a rinfocolare ostilità personali e incomprensioni. E’ meglio fare un passo alla volta, secondo le indicazioni di Cogne.

Enrico Martial