venerdì 27 febbraio 2015

La Svizzera è vicina

(Gazzetta Matin, 23 febbraio 2015)
Sia anche per adeguamento a disposizioni nazionali, l’amministrazione regionale elimina le posizioni di 14 dirigenti,  come già era avvenuto nel marzo del 2012, quando i posti tagliati furono 12. Sono azioni di revisione della spesa che in Valle proseguono con sofferta regolarità, a differenza di regioni che se ne infischiano. Sono accompagnate da strumenti di facilitazione, o colgono l’età della quiescenza per coloro che occupano quelle posizioni.

Occorre un’amministrazione più leggera, e sarebbe ottimo se fosse anche più efficiente. L’elefantiasi del sistema pubblico (italiano ma anche valdostano) deriva però non solo dal numero dei dirigenti, ma anche dall’eccessiva presenza nell’economia, da troppi beni demaniali spesso male utilizzati e con scarsa manutenzione. Troppo pesanti si diventa lenti: capita anche in Valle d’Aosta, in cui da tre anni si attende una gara per dare un futuro a un pezzo del vecchio villaggio minerario di Cogne.

Accanto ai tagli, ci vorrebbe dunque più efficienza, che richiede però spinta e visione politica. Per esempio, in Svizzera il cambio con l’euro è passato da 1,6 del 2008 prima a 1,2 e poi fino a 1,07 attuali. Gli sforzi di contenimento della Banca centrale svizzera alla fine hanno lasciato libera la moneta di fluttuare. Eppure dalla nostra macchina amministrativa regionale e dalla camera di commercio non c’è stata quasi reazione.  Non ci è venuto in mente che l’appartamento, per noi di 200.000 euro, al cittadino di Martigny con franco rivalutato costa oggi, alla grossa, circa 135.000 euro. O che il rubinetto del negozio a Quart, il mobile della cucina venduta a Sarre, il servizio dell’artigiano di Roisan, venduto a Verbier o a Montreux è di fatto scontato per il compratore svizzero del 35%-37% rispetto a cinque anni fa.

Anche indipendentemente dall’andamento delle importazioni generali, gli acquisti frontalieri di parte svizzera sono in impennata. Ci vorrebbe perciò informazione e promozione, un affiancamento delle imprese e degli artigiani per aiutarli a esportare beni e servizi. Si potrebbe ricordare che la Svizzera è vicina e pensare a quante opportunità siano offerte a un’economia come la nostra, alla ricerca di sbocchi e di nuovi percorsi. Nel corso di questa settimana, ogni assessore ne potrebbe parlare con il restante centinaio di dirigenti regionali. Non sarà un corso di formazione, ma almeno sarà un segnale a darsi da fare.

Enrico Martial

venerdì 20 febbraio 2015

14 miliardi e non sentirli


(Gazzetta Matin, 16 febbraio 2015)
Al convegno “Abitare 2.0” organizzato il 12 febbraio da Nuova Energia, c’erano tre assessori e un presidente di Camera di commercio, con un parterre di professionisti, imprenditori, proprietari di vera qualità. Mentre si parlava d’innovazione, di partenariato pubblico-privato, di tecnologie verdi e di funzione del fabbricato, il discorso è andato a cadere sui soldi che son finiti.  Va bene, la mancanza di denaro è stimolo all’innovazione, al mercato: un fatto positivo. Se non fosse che questa consapevolezza è di solito da noi accompagnata - com’è avvenuto nel convegno - da gran sensi di colpa, sui soldi che si son precati e che forse neppure ci spettavano.

Questo cospargersi di cenere per i peccati passati è certamente un bene, perché invita a migliorarsi, e
perché in Valle, adusi a criticare ogni muretto e teleferica, il controllo sociale è forte: le cose losche
diventano presto chiare ai più, e alla fine il troppo scaltro (a meno che non sia proprio un genio) vien
pescato, e quantomeno privato di stellette.  La Valle è un luogo dove il controllo sociale (quindi politico) esiste, dove due Presidenti che viaggiavano in elicottero hanno presto visto sgretolarsi la loro maggioranza, anche perché viaggiavano in elicottero.

La Regione Piemonte ha circa 14 miliardi di debiti, 8 suoi e circa 6 delle partecipate, senza contar province e comuni. Non chiude mai il bilancio (la legge regionale di stabilità) il 31 dicembre e va sempre in esercizio provvisorio. Diventano sfasati anche i bilanci delle ASL, così ognuno spende stimando quanto gli spetta, e ovviamente spende di più. Per capirsi, 14 miliardi sono circa 3-4 punti di IVA in meno per l’anno prossimo per tutta l’Italia, dal 22% al 19%. Eppure, laggiù i sensi di colpa non si vedono, e i miliardi sembrano leggeri: il Piemonte così poco sabaudo vorrebbe acquisire la Liguria (il progetto Limonte della Bresso) e fors’anche la Valle d’Aosta (proposta Chiamparino et alii sulla fusione delle Regioni).

Non siamo svizzeri, ma in Valle i bilanci si chiudono per tempo, e i tagli si fanno prima dei debiti. Le opere pubbliche sono presenti, anche se si poteva far meglio. Per questo in Valle, quando si indugia sulle nuove maggioranze, si potrebbero produrre meno dubbi e sensi di colpa, e avere più serenità sul proprio passato e più coraggio per il futuro. Gli accordi e i programmi sarebbero senz’altro più facili da costruire.

Enrico Martial

giovedì 12 febbraio 2015

Confondere le priorità non aiuta


(Gazzetta Matin, 9 febbraio 2015)
Bene ha fatto Laurent Viérin a dire che non era faccenda di poltrone. La questione dell’autonomia è infatti al centro del dibattito, e il tavolo politico che avviato con la Constituante a Cogne dovrebbe essere il metodo. Il problema dell’autonomia dovrebbe venire prima delle politiche di settore e prima delle posizioni di governo, che sono strumentali e subordinate. Il futuro della Valle d’Aosta come soggetto autonomo nel quadro della Repubblica è oggi al centro dell’agenda politica: l’UVP, a Cogne, ha avuto il merito di sottolinearne la priorità.

Da fuori Valle i segnali negativi si rafforzano. Pur nell’ottima elezione del Presidente della Repubblica, diversi osservatori hanno notato che nel discorso alle Camere non solo non v’era riferimento alle autonomie, ma neppure alle Regioni e ai territori. Chiamparino, Presidente della Conferenza delle Regioni, dove siede anche la Valle d’Aosta, ha rilanciato questa settimana la proposta di fusione delle Regioni, disegnando una specie di ritorno al Regno di Sardegna. Il Ministero degli Affari regionali della dimissionaria Lanzetta continua a impugnare leggi regionali dinanzi alla Corte costituzionale. In Parlamento mancano gli Emilio Lussu e cresce un neonazionalismo (antieuropeo) che si respira persino nella Lega nord.

La battaglia ipotizzata a Cogne faceva immaginare il superamento degli steccati recenti. Per dare gambe al nuovo disegno sono stati tracciati nuovi equilibri, e lo stesso presidente del Consiglio Valle ha annunciato le proprie dimissioni in questa prospettiva. Il percorso era corretto, a condizione di tener centrale il tema dell’autonomia, e secondarie le questioni di poltrona e le politiche di settore.

In questo senso è importante che il tavolo di Cogne prosegua. Se l’Union Valdôtaine organizza un evento a Pont-Saint-Martin, è bene che tutti siano presenti, anche l’UVP, e se la Regione stabilisce di ricorrere sulla legge di stabilità perché viola i principi statutari e pattizi, dopo opportuna verifica, si potrà sostenere l’iniziativa indipendentemente da maggioranze e minoranze.

Poi sulla scuola, su quell’opera pubblica, sulla gestione dei rifiuti, oppure sui treni si potrà mantenere la dialettica, anche aspra, e confermare i ruoli di maggioranza e opposizione. Al contrario, mescolare tutto, treni, poltrone e autonomia aiuta solo a rinfocolare ostilità personali e incomprensioni. E’ meglio fare un passo alla volta, secondo le indicazioni di Cogne.

Enrico Martial

giovedì 5 febbraio 2015

Un senato antiregionalista


(Gazzetta Matin, 2 febbraio 2015)
Dopo l’elezione del capo dello Stato si tornerà a parlare di riforme e del nuovo Senato. Dovremo forse preoccuparci.
Intendiamoci: la nascita di un Senato delle istituzioni territoriali è una gran conquista per il regionalismo in Italia. Se ne trova solida traccia nella proposta di legge costituzionale dei parlamentari valdostani del
lontano 1991, è stato uno degli obiettivi perseguiti e mancati della riforma del 2001. Nel 2015, malgrado lo slancio antiregionalista, si farà probabilmente un Senato delle istituzioni territoriali, completando ciò che non era riuscito per decenni.

Nel suo intervento a Cogne, alla prima riunione della Constituante, Cesare Dujany ci ha però messi in guardia. Il Senato non voterà la fiducia al Governo e non avrà capacità d’interlocuzione con il presidente del Consiglio. Con un ruolo leggero e incerto, sarà forse a metà strada tra il Comitato delle Regioni europeo (i non letti pareri finiscono nei cassetti) e alcune seconde camere territoriali europee, come quella spagnola, che i catalani infatti saltano a pié pari.

Al Senato territoriale arriveranno probabilmente solo i temi generali di dibattito. Le concrete politiche governative (anche legislative) continueranno a passare dalla cinghia di trasmissione della Conferenza Stato-Regioni, che conserverà il ruolo che ha avuto fino ad ora. La riforma costituzionale potrebbe quindi essere per innocua per la Valle d’Aosta. Un progresso di facciata, da Paese del Gattopardo, non un peggioramento.

Eppure un po’ di prudenza ci vuole. Nel nuovo Senato ci saranno gli eletti dai consigli regionali, ma i regionalisti saranno pochissimi, forse solo dalla Valle, da Bolzano e Trento, forse dal Friuli. Ci sarà del sindacalismo istituzionale, per chiedere più soldi e più potere (al sud, al nord, nella capitale, nelle zone urbane, nelle zone montane, nelle isole, negli aeroporti, nei porti), ma poco senso della responsabilità territoriale e della propria comunità. Più che da noi, che patiamo ma ben resistiamo a questa tendenza, il distacco tra la politica e la popolazione è massima in Italia, e i consiglieri regionali rispondono più a centri d’interessi che a partiti a loro volta poco rappresentativi.

Sarà un Senato indifferente o forse ostile al regionalismo. E da cui un senatore-presidente di Regione e della Conferenza delle Regioni potrebbe anche proporre la fusione delle Regioni e la scomparsa della Valle.

Enrico Martial