domenica 9 dicembre 2012

Chiudere le province, per favore

Ci sono ottimi motivi per portare a conclusione la riforma delle province.

Sono tutte ragioni a favore. E'un costo eccessivo, riconosciuto dalle istituzioni internazionali, dalle analisi economiche dotate di qualche competenze, e dal buon senso. Le prove sono dinanzi agli occhi di tutti ma in particolare da chi ha visto da vicino il funzionbamento delle province. Sono una vera dispersione di risorse e di energie, un luogo di spesa senza senso. Lo testimonia il fatto che quasi tutte pensino soltanto a costruirsi una sede gigantesca. Le province sono uno dei peggiori rubinetti aperti della spesa pubblica: e va   chiuso al più presto.
Le posizione contrarie alla riforma delle province sono quasi tutte strumentali. A costro di raccontare frottole, sui costi, sulla costituzionalità, sulal funzione fondamentale per i cittadini,, chi le occupa pensa solo al flusso di spesa che passa attraverso i loro bilanci. Sono la sede di cricche formidabili, e per chi è stato ad una delle riunioni tecniche dell'UPI è facile riconoscerlo.

Abbiamo detto che le posizioni contrarie sono "quasi" tutte strumentali. Qualche ragione per un ruolo delle province effettivamente c'è: la rappresentanza di alcuni territori e di loro identità, come Sondrio, la possibilità di elaborare proposte. Vi sono anche alcuni e pochi presidenti a cui si potrebbe stringere la mano, che operano per quel che possono, che hanno dato priorità alle scuole e alle poche strade di cui devono assicurare la manutenzione.
Ma allora, così come sono disegnate dalla riforma, le nuove province vanno benissimo. I sindaci che le comporrano le saranno portavoce di reali interesse territoriali, e non delle camarille e delle cricche, dentro o fuori i partiti o i clan. Saranno province più identitarie perché saranno  luogo di collaborazione dei Comuni - in una sussidiarietà orizzontale - e potranno davvero formulare proposte forse dotate di senso, anziché impegnarsi sull'aumento dell'IPT e delle loro entrate, da collocare soltanto in spese di funzionamento e nuove sedi elefantiache.

Dunque non si deve né si può tornare indietro e ciò malgrado la fine dell'esperienza del governo Monti. La domanda di riforma delle province viene da lontano, non solo da alcuni errori della riforma del Titolo V, ma anche da prima, dalla perdita della funzione, della "mission", delle province che si è vista almeno già negli anni Ottanta del secolo scorso. Lo voleva l'amministrazione centrale, lo riconoscevano i centri studi, e questo malgrado i convegni dal tono supino e retorico.
Destra e Sinistra hanno mostrato grande debolezza di governo su questo tema: volevano la riforma, e non hanno saputo governare le clientela e le cricche che resistevano. Hanno lasciato crescere e maturare il loro sindacato, l'UPI che per primo ora deve chiudere baracca, con il suo ultimo lobbista di sinistra che piace ai lobbisti di destra, il Presidente Saitta.

Per questo, la riforma delle province deve essere completata, e un atto al riguardo deve essere adottato entro la fine dell'anno. Probabilmente esistono nuove ragioni di necessità e urgenza per mettere mano al decreto in decadenza, e nel rispetto della sentenza del 1996 della Corte costituzionale. Forse occorre un nuovo testo e un nuovo decreto fondato su nuove ragioni d'urgenza. Oppure occorre una legge di conversione del decreto attuale.

Ma qualcosa bisogna fare.