Sono parole che giungono proprio mentre la pressione sull’autonomia
è forte e poco resistibile. La riforma dello Statuto speciale si è persa di
vista, e ora naviga in sconosciute acque nazionali. Gli emendamenti del senatore
Albert Lanièce alla finanziaria statale su
accise e bilancio in pareggio sono state rigettate dal governo nazionale con il
dorso della mano.
Va anche peggio nelle faccende quotidiane. Il 17 novembre la
Camera dei deputati ha approvato un disegno di legge su appalti e concessioni,
che in un comma cancella l’attuale competenza regionale nella materia. Una
ventina di anni fa, avremmo letto infuocati comunicati stampa: oggi nulla,
silenzio assoluto. D’altra parte in un atto consiliare gli uffici hanno scritto
che il francese è “lingua straniera” mentre Ferrovie, Anas e alcuni Comuni trascurano
l’ortografia e quindi la toponomastica dei luoghi, senza che vi sia reazione. I
“costi standard” sono applicati in modo automatico, malgrado decenni di studi
(da Janin in qua) sulle specificità della Valle. Si tratta di un’abdicazione
rassegnata di una classe politica indebolita, con una tendenza alla
delegittimazione, come nel recente caso dei vitalizi per gli ex-consiglieri.
Altrove è andata anche peggio e la gente si è da tempo
staccata dalla politica. Da noi controllo sociale e partecipazione rimangono
ancora alti, anche se la Valle par guidata da gattini ciechi. A volte sembrano riaprire
gli occhi: superando le polemiche, il Consiglio regionale ha proposto al Comune
di Aosta di far fronte comune sull’autonomia. Forse è la solita fuffa, prodotta
da “sedicenti autonomisti”, tutti “chiacchiere e distintivo”, e non già un segnale
di ripartenza. Eppure, dopo anni di declino, questo fronte comune potrebbe
spingere i partiti a cercare consenso sulle proposte e non sugli interessi, potrebbe
imporre all’amministrazione di tornare a
una funzione di servizio, e favorire un dibattito sulle priorità collettive,
oggi nascoste sotto macerie di interessi settoriali e materiali.
Enrico Martial